Quando vennero firmati gli accordi di Oslo, nel 1993, il mondo intero si convinse che il conflitto israelo-palestinese fosse terminato, tanto che a Stoccolma pensarono di conferire il Premio Nobel per la Pace a Shimon Peres e a un terrorista (e corrotto) come Yasser Arafat.
La base di quegli accordi (senza scendere nei minimi particolare che potete trovare su Wikipedia) erano fondamentalmente due: l’esaltazione del concetto “terra in cambio di pace” e il mutuo riconoscimento. Secondo i fautori degli accordi di Oslo l’alternativa sarebbe stata lo stato unico binazionale e quindi la fine del sionismo, un timore del tutto ingiustificato ma che convinse molti (soprattutto in Israele) ad accogliere favorevolmente quegli accordi e a digerire il ritiro dalla Striscia di Gaza e da una parte della Cisgiordania (con tutto quello che comportò in termini di esproprio ai coloni che in quelle terre si erano insediati).
A 19 anni da quella storica firma possiamo senza dubbio affermare che quegli accordi sono falliti proprio nei loro due punti fondamentali e attualmente non servono nemmeno a fornire le basi per nuovi accordi. Il concetto di “terra in cambio di pace” è stato completamente stravolto dalla occupazione della Striscia di Gaza da parte di Hamas, mentre il mutuo riconoscimento è sostanzialmente diventato un riconoscimento unilaterale dove Israele riconosce, finanzia e aiuta l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ma da parte palestinese non vi è un sostanziale ed effettivo riconoscimento di Israele.
La mia convinzione è sempre stata quella che allora Yasser Arafat mise a segno il miglior bluff della sua vita facendo credere a tutti di volere la pace e la divisione tra due Stati, mentre invece il suo vero obbiettivo era sempre quello di uno stato unico binazionale e di certo tra i suoi obbiettivi non c’era la pace. A dimostrarlo c’è quello che è accaduto dopo. Ad un effettivo ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza e dalla zona di Gerico non ha corrisposto né un periodo di pace ne’, tantomeno, un riconoscimento effettivo dello Stato Ebraico di Israele se non quando si trattava di chiedere soldi. E’ scoppiata la seconda intifada, ci sono stati decine di attentati terroristici tanto che Israele è stato costretto ad alzare un muro difensivo (che, checché ne dicano i detrattori, ha azzerato gli attentati), La ANP ha iniziato ad alzare il tiro delle richieste con una improponibile richiesta di disconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e assurde richieste sull’ipotetico “Diritto al ritorno” dei presunti profughi palestinesi (che profughi non sono in base alle leggi internazionali), richieste talmente inaccettabili (e fatte deliberatamente per questo) che hanno finito per bloccare qualsiasi progresso degli accordi di Oslo.
Oggi in molti lamentano lo stallo delle trattative tra Israele e Autorità Nazionale Palestinese dandone la colpa a Gerusalemme e alla colonizzazione di alcuni territori. Tra di loro persino l’Amministrazione americana del sig. Barack Hussein Obama che attribuisce questo stallo proprio alla costruzione di nuove colonie. Ma su che basi si dovrebbe trattare? Questo nessuno lo dice. Se le basi per una trattativa sono gli accordi di Oslo allora da parte Israeliana non c’è più niente da concedere dato che sono stati ottemperati tutti i punti dell’accordo, che è impensabile che Israele rinunci a Gerusalemme e che il presunto Diritto al ritorno dei presunti profughi non è cosa che riguardi gli israeliani. E le colonie? Beh, le colonie nascono lungo una linea di confine del tutto ipotetica che appartiene a territori contesi, un termine specifico da non confondersi con territori occupati come usano chiamarli i pacivendoli. I palestinesi vorrebbero che Israele rinunci ai territori contesi senza condizione, ma visti i precedenti (Gaza, Gerico, ecc. ecc.) dove a una rinuncia di territori da parte israeliana non è corrisposto alcun ritorno in termini di pace e stabilità, non si vede per quale motivo Gerusalemme debba cedere i territori contesi.
Gli accordi di Oslo, che concedevano ai palestinesi il 99,99% delle loro richieste (sia territoriali che in termini di riconoscimento e indipendenza), sono falliti e non per colpa israeliana ma per una ferrea volontà palestinese di arrivare al grande sogno di uno Stato unico binazionale (la richiesta del ritorno dei presunti profughi serve proprio a questo). Per questo credo che sia arrivato il momento per Israele di prendere decisioni unilaterali e di presentare il conto dei mancati adempimenti palestinesi. I territori contesi devono essere inglobati anche perché non si possono più lasciare centinaia di famiglie israeliane in un limbo dove non hanno alcuna vera certezza per il futuro e dove non godono appieno degli stessi Diritti degli altri cittadini israeliani. Deve essere chiaro anche che su Gerusalemme non si tratta. Basta ambiguità. Non ci si può più permettere il lusso di mandare segnali ambigui come fa una certa sinistra israeliana.
Qualche giorno fa il Presidente della ANP, Abu Mazen, ha minacciato di voler “cancellare gli accordi di Oslo”. Bene, faccia pure, nessuno glielo impedisce. Anzi, è un bene che lo faccia così se si tornerà a trattare lo si farà tenendo in giusta considerazione i veri valori delle parti.
Miriam Bolaffi