Elezioni USA: è la politica estera il tallone d’Achille di Barack Obama

Le elezioni USA, dopo i congressi repubblicano e democratico, sono ormai arrivate ad un punto di svolta in cui i candidati alla presidenza (Barack Obama e Mitt Romney) dovranno dare il meglio di se e tirare fuori gli argomenti che possono nuocere all’avversario. Uno di quelli che certamente può danneggiare Obama è la politica estera condotta dalla sua amministrazione.

Quello che appare evidente a tutti è un forte indebolimento degli Stati Uniti sulla scena internazionale, un indebolimento che non è giustificabile solo con i problemi interni e con la crisi internazionale ma è frutto di una politica estera condotta in maniera dilettantesca quando non criminale.

Durante la campagna elettorale che lo portò alla prima elezione a Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama promise che avrebbe “riportato a casa i militari americani in Afghanistan e in Iraq”, una promessa che ora si vanta di aver mantenuto, affermazione certamente giusta se però non si guarda alle conseguenze sul campo derivate da questa scelta. L’Afghanistan è letteralmente in mano ai talebani mentre l’Iraq è stato consegnato chiavi in mano all’Iran. Allora, è vero che Obama a riportato a casa i militari americani (o lo sta facendo) ma ha lasciato una situazione che nel breve/medio periodo potrebbe costringere gli USA e i suoi alleati a tornare in guerra ma con molte più difficoltà (e perdite). Obama non ha riportato a casa i soldati americani dall’Afghanistan e dall’Iraq, ha messo in atto una vera e propria fuga senza prima aver normalizzato quei due Paesi.

Sulla questione del nucleare iraniano invece Obama è stato letteralmente criminale (mi scuso, ma non trovo altri termini per descrivere la politica americana nei confronti di Teheran). Prima ha inaugurato la “politica della mano tesa” dando la possibilità all’Iran di ottenere il tempo necessario a costruire almeno tre nuovi siti nucleari (tenuti segreti fino a pochi mesi fa). Poi ha assunto una posizione che definire ambigua è puro eufemismo arrivando persino a trattare sottobanco con gli Ayatollah mettendo in serio pericolo l’esistenza del maggiore alleato americano in Medio Oriente, Israele. Ora sta facendo di tutto per impedire che Israele attacchi i siti nucleari iraniani (non l’Iran, è bene fare questa distinzione) e per farlo usa mezzi subdoli quali la diffusione per mezzo di giornali compiacenti di piani segreti e di decisioni segretissime, oppure convince i Paesi che dovrebbero essere sorvolati dai caccia israeliani (Arabia Saudita) a negare il sorvolo dopo che mesi fa lo avevano straordinariamente concesso. Insomma gioca sporco per difendere l’Iran ma non gli interessi americani come vuol far credere.

Che dire poi delle cosiddette “primavere arabe” e del contrasto al terrorismo islamico in Africa? Nel primo appare sempre più evidente che le rivolte sono il frutto di un accordo tra i servizi segreti americani e la Fratellanza Musulmana (appariva già evidente dal famoso discorso pronunciato da Obama nella Moschea Blu di Istanbul all’indomani della sua elezione, ma adesso con il senno di poi è una certezza). E’ stato Obama a mettere con l’inganno la Fratellanza Musulmana al potere in Tunisia e in Egitto e ci sarebbe riuscito anche in Libia se non avesse incontrato una certa resistenza e il voto contrario del popolo.  Ho detto “con l’inganno” perché sono state le sue parole a convincere milioni di giovani arabi a vedere nei Fratelli Musulmani un cambiamento democratico e non quello che realmente sono, estremisti islamici ben lontani dal concetto di “democrazia”. Peggio ancora ha fatto in Africa (anche se da noi se ne parla pochissimo) lasciando che interi Paesi finissero sotto il gioco islamico e arrivando, attraverso Hillary Clinton, a ricattare il governo nigeriano affinché trattasse con i terroristi di Boko Haram invece di combatterli.

E ce ne sarebbero ancora tante di cose da dire sulla “incompetenza dolosa” di Obama in campo internazionale, dalla criminale indifferenza dimostrata sulla Siria alle capriole diplomatiche per proporre al mondo il leader turco Recep Tayyip Erdogan come un moderato, ma lo spazio è tiranno e quindi mi fermerò qui. Quello che però, a mio avviso, vale la pena di sottolineare è che sotto la presidenza Obama, gli Stati Uniti hanno toccato il punto più basso del loro prestigio internazionale e, di certo, sono diventati estremamente deboli. Certo,sono più simpatici agli islamici e ai personaggi sinistri europei, ma il mondo non ha bisogno di “americani simpatici”, il mondo ha bisogno della potente democrazia americana per combattere l’imponente avanzare del pericolo islamico, mai così forte come ora. Ecco, io sono convinto che se Mitt Romney saprà usare bene queste carte potrà convincere gli elettori americani che un’America rannicchiata su se sessa non è un male solo per il mondo libero ma anche per gli stessi Stati Uniti.

Franco Londei