Il tempo è maturo per una riflessione seria su quello che sta avvenendo in Iran e sulle conseguenze nefaste di queste ultime elezioni parlamentari. Due cose sembrano essere certe: la prima è che, a differenza delle trionfali dichiarazioni del regime, oltre la metà degli iraniani (con punte dell’80% nelle città) non è andata a votare. La seconda è che Ahmadinejad ne esce fortemente indebolito nella lotta intestina con il Grande Ayatollah Khamenei.
Il primo dato ci deve far riflettere su quello che pensa il popolo iraniano su chi governa il Paese. Eliminati i cosiddetti “riformisti” rimangono solo i macellai e quindi meglio esprimere il proprio dissenso non andando a votare. Il secondo dato invece ci deve far riflettere sulla possibilità seria che, se mai fosse possibile, la situazioni in Iran peggiori ulteriormente e con essa quella dei rapporti tra il sanguinario regime degli Ayatollah e il resto del mondo.
Di certo il rafforzamento di Khamenei e con lui delle Guardie della Rivoluzione Iraniana (pasdaran o IRGC) non può che portare ad una ulteriore stretta islamico-estremista nel Paese e questo in un contesto in cui la legge islamica è applicata alla lettera con tutta la violenza che comporta. E poi l’accusa mossa più volte da Khamenei ad Ahmadinejad sul fatto che il sanguinario presidente iraniano fosse “troppo tenero” sia all’interno che all’estero, ci fa pensare ad un ulteriore irrigidimento sulle posizioni ultraortodosse degli Ayatollah, sia nei confronti della popolazione iraniana che in quelli della comunità internazionale.
Certo, tra Ahmadinejad e Khamenei è impossibile scegliere, sono ambedue dei criminali assassini, tuttavia il fatto che a vincere le elezioni parlamentari siano stati gli Ayatollah potrebbe finalmente convincere il fin troppo titubante Barack Obama a considerare con una certa attenzione le motivazioni di un attacco alle centrali nucleari espresse a più riprese da Israele. Se con Ahmadinejad il Presidente americano poteva pensare in qualche modo di instaurare una qualche forma di dialogo (lo pensava solo lui, ma lo pensava) con Khamenei anche questa remotissima possibilità decade definitivamente.
In sostanza, a mio modestissimo avviso, la “schiacciante” vittoria degli Ayatollah ultraortodossi ai danni di Ahmadinejad avvicina ancora di più la possibilità che Israele decida di attaccare le centrali atomiche iraniane. Ora nemmeno Obama può più chiedere di aspettare perché lo schiaffo avuto dal sanguinario Ahmadinejad è uno schiaffo anche alla pazzesca politica attendista del Presidente americano. Ora ,o si agisce subito oppure tra pochi mesi ci ritroveremo un Iran in mano a dei pazzi fanatici dotati di armi nucleari. Sarà questo quello che mercoledì prossimo dirà il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, al Presidente americano durante l’incontro che si terrà a Washington.
Oltretutto. Con molta probabilità, Netanyahu mostrerà a Obama i risultati delle ultime indagini svolte dal Mossad sul programma nucleare iraniano, indagini che dimostrano senza ombra di dubbio che il cosiddetto “punto di non ritorno” è molto più vicino di quello che dicono gli analisti della CIA. Si parla della fine di marzo/ primi di aprile e non della fine dell’anno come sostengono gli americani. Quindi se si deve agire fa fatto subito e senza indugiare oltre.
Come ho più volte detto, è sempre difficile parlare di guerra, ma se non lo facciamo ora e se non fermiamo gli Ayatollah adesso, tra qualche mese ce ne pentiremo amaramente.
Franco Londei