Il giorno del discorso di Abu Mazen all’Onu è arrivato e il leader della Autorità Nazionale Palestinese (ANP) non ha tradito le attese facendo un discorso che assomigliava più a una dichiarazione di guerra piuttosto che a una legittima richiesta di pace, ponendo condizioni che già in partenza si sa che non potranno essere accolte da Israele.
Nella sua richiesta di “riconoscimento” della Palestina alle Nazioni Unite il Presidente della ANP ha parlato di “pulizia etnica contro i palestinesi”, ha parlato di invasione di territorio palestinese da parte dei coloni ponendo questo problema come l’unico che si frappone tra il raggiungimento della pace e il mantenimento dell’attuale situazione. Ma poi è tornato a chiedere il ritorno ai confini del 67, a rivendicare Gerusalemme Est come capitale del futuro Stato palestinese e non ha fatto marcia indietro sulla richiesta di “ritorno” dei cosiddetti profughi palestinesi. In compenso ha dichiarato chiaramente che non riconoscerà Israele come Stato Ebraico. Insomma nel suo discorso Abu Mazen ha sciorinato la solita scaletta fatta di menzogne e luoghi comuni ben sapendo che il problema non sono le colonie israeliane o il muro di protezione, ma sono le assurde richieste palestinesi che sembrano fatte apposta per non raggiungere la pace e la soluzione dei due Stati per due popoli. A un certo punto ha anche citato Arafat quando in occasione del suo primo discorso alle Nazioni Unite, quando si presentò con le pistole alla cintola, disse: “Oggi sono venuto portando un ramoscello d’ulivo, e il fucile di combattente per la libertà. Non lasciate che il ramoscello d’ulivo mi cada di mano”, minaccia velata che, come allora, non è sfuggita all’orecchio israeliano abituato a trattare con i terroristi.
Subito dopo il discorso “di guerra” di Abu Mazen, premiato da applausi piuttosto ipocriti, ha parlato il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, il quale ha detto: «io non sono venuto a prendere applausi, sono venuto a dire la verità, e la verità è che Israele vuole la pace con i palestinesi. Che io voglio la pace» aggiungendo poi «Io tendo la mano al popolo palestinese ma loro vogliono uno Stato senza la pace. La pace non si raggiunge senza negoziati» invitando i palestinesi a riprendere subito le trattative di pace.
E’ lampante che arrivati a questo punto spetta ai palestinesi riprendere i colloqui di pace ben sapendo che le concessioni fatte in passato, cioè “terra in cambio di pace” e altri tipi di concessioni, non sono più validi. Adesso la parola d’ordine è “pace in cambio di pace”, una locuzione che non può prescindere dal riconoscimento palestinese di Israele come Stato Ebraico, alla rinuncia al cosiddetto “diritto al ritorno” e a Gerusalemme come capitale. Sono questi i veri problemi sul tavolo e non certo qualche colonia ebraica.
E poi ci sono i rapporti della ANP con Hamas. Come può Abu Mazen parlare di pace davanti all’assemblea dell’Onu quando in patria tratta con un gruppo terrorista che non vuole alcun riconoscimento della Palestina in quanto implicherebbe un automatico riconoscimento di Israele? Come può parlare a nome di tutti i palestinesi quando a Gaza Hamas ha vietato qualsiasi manifestazioni a favore della richiesta di riconoscimento e proprio in queste ore sta pianificando attentati nel sud di Israele allo scopo di far deragliare eventuali riprese dei colloqui tra ANP e Israele?
Sono questi i quesiti che i plaudenti potenti del mondo si devono porre quando pensano che un riconoscimento della Palestina voglia dire automaticamente il raggiungimento della pace. Non è così perché Abu Mazen non ha alcuna intenzione di fare la pace con Israele. Qualcuno si è chiesto perché in cambio del riconoscimento della Palestina non viene chiesto ai palestinesi un riconoscimento di Israele? Perché la risposta sarebbe negativa. E qualcuno si è mai domandato cosa impedisca ad Abu Mazen di sedersi al tavolo delle trattative con Israele e parlare di pace in cambio di pace e non di futili scuse o assurde richieste che non porteranno mai a niente? Semplice, perché questo implicherebbe proprio quel riconoscimento che i palestinesi si ostinano a negare.
Ora le domande da porsi sono: il problema, sta a Gerusalemme (capitale di Israele) oppure sta a Ramallah (capitale palestinese)? Il problema è Hamas che ha come obbiettivo la distruzione di Israele oppure è lo Stato Ebraico che lotta per la sopravvivenza e per non soccombere ai terroristi che lo vogliono distruggere? Il problema sono poche colonie, facilmente spostabili da altre parti, oppure sono le inaccettabili richieste palestinesi. Ma soprattutto, il problema sta nella genuina ricerca della pace oppure sta nella volontà palestinese di lasciare le cose come stanno così da poter continuare a beneficiare degli aiuti di tutto il mondo senza riconoscere Israele nella recondita speranza di arrivare ad uno Stato binazionale, da sempre vero obbiettivo di Arafat prima e di Abu Mazen ora? Su questo la comunità internazionale dovrebbe interrogarsi quando parla di “pace in Medio Oriente”.
Miriam Bolaffi