Ieri, con un comunicato ufficiale diramato tramite l’agenzia di stampa sudanese SUNA, il Governo sudanese ha reso noto che le operazioni militari nella regione di Abyei sono terminate. Dopo una settimana di furiosi combattimenti l’attacco dell’esercito sudanese alla piccola regione contesa tra nord e sud Sudan ha provocato oltre 90.000 sfollati, centinaia di morti, qualche migliaio di feriti oltre alla distruzione di decine di villaggi.
Ma l’operazione di riconquista militare della regione di Abyei non può e non deve essere vista dalla comunità internazionale come un episodio estemporaneo volto alla salvaguardia di una delle regioni più ricche di petrolio del Sudan che stava pensando di separarsi da Khartoum per andare a confluire nel nuovo Stato del Sudan Meridionale. Questa operazione è la punta di diamante di una strategia ben più vasta volta a isolare completamente il neonato Stato del Sud Sudan, sia a livello economico che militare, ed è una operazione che Khartoum preparava da mesi.
Il Governo provvisorio del Sud Sudan nelle scorse settimane aveva più volte lanciato l’allarme per un possibile attacco alla regione di Abyei. Diverse divisioni dell’esercito sudanese erano state spostate dal Darfur ai confini con Abyei. Nello stesso tempo Khartoum aveva praticamente chiuso ogni strada di accesso al mare alle merci provenienti dal Sud Sudan. Non solo. Tutti gli oleodotti che fino a ieri avevano portato il petrolio sud-sudanese a Port Sudan per essere imbarcato, erano stati chiusi. Così facendo Khartoum ha letteralmente messo in ginocchio la già precaria economia sud-sudanese che considera gli introiti provenienti dal petrolio un elemento essenziale per continuare l’azione di sviluppo della regione.
Negli ultimi giorni le merci da esportazione provenienti dal Sud Sudan stanno percorrendo un’altra strada per trovare un indispensabile sbocco al mare, quella che attraverso l’Etiopia porta a Gjibouti, ma è chiaro che le difficoltà di un nuovo percorso sono tantissime. Un’altra strada è quella offerta dal Kenya, anche questa tutta da collaudare e più lunga seppure più sicura. Tuttavia il problema del petrolio resta purtroppo insoluto, visto che non esistono oleodotti che partendo dal Sud Sudan attraversano l’Etiopia fino al mare di Djibouti oppure il Kenya. C’è il progetto per la costruzione di un oleodotto che dovrebbe bypassare quello sudanese e arrivare alle coste dell’oceano indiano attraverso il Kenya, ma è allo stato embrionale. Un secondo oleodotto che stanno per iniziare i cinesi passa per l’Etiopia e sbocca a Djibouti, sul Mar Rosso, ma anche in questo caso siamo solo agli inizi.
A Khartoum queste cose le sanno e la chiusura di tutte le strade commerciali che dal Sud Sudan portano a tutto il resto del mondo attraverso il territorio sudanese, è volta proprio a mettere in ginocchio la fragile economia del Sudan Meridionale.
Questa decisione di Khartoum viola gravemente il trattato di pace firmato a Nairobi nel 2005 tra il Sud e il Nord Sudan e mette a grave rischio la pace. Il piano di Khartoum è chiaro: mettere il Sud nell’angolo affinché rinunci definitivamente ad ogni pretesa sulla regione di Abyei.
Al momento la comunità internazionale sembra sostanzialmente immobile, impreparata com’era alle mosse sudanesi nonostante i molti avvertimenti arrivati da Juba. Molto attiva è invece la Lega Araba, scesa in campo al fianco di Khartoum. Gli arabi non hanno digerito la secessione del Sud cristiano dal Nord musulmano e temono un effetto a catena. Il Sud Sudan è infatti il primo territorio cristiano sottratto al controllo islamico e non vogliono che la cosa si ripeta da altre parti. Per questo appoggiano in tutto e per tutto il Governo sudanese nonostante sul capo di Bashir penda un mandato di arresto internazionale per crimini contro l’umanità.
A dar manforte al Sudan sono arrivati anche gli iraniani che, in aperta violazione dell’embargo internazionale, hanno fornito a Khartoum intere navi di armi e di pezzi di ricambio per gli aerei e per i mezzi corazzati. Non è infatti nuovo l’interesse iraniano per il Sudan e per le prospettive che offre in configurazione anti-israeliana. Da anni infatti il territorio sudanese viene usato da Teheran per contrabbandare armi verso Hamas ed Hezbollah. Il supposto (e mai confermato) appoggio del Sudan Meridionale alle operazioni israeliane è stato visto dai Mullah come un affronto al loro espansionismo in Africa e come un pericolo da eliminare. Da qui l’immenso afflusso di armi da Teheran verso Khartoum che ha permesso al Sudan di avviare una offensiva su Abyei che fino a qualche mese fa non sarebbe stata possibile.
E’ chiaro che la comunità internazionale non può rimanere inerte di fronte a questo scenario che rischia seriamente di compromettere la già precaria pace tra Nord e Sud Sudan. L’Onu e le potenze mondiali devono intervenire per costringere il Sudan a rispettare gli impegni presi nel 2005 a Nairobi, oppure devono mettere il Sud Sudan in condizioni di potersi difendere da queste aggressioni. Diversamente Khartoum e Teheran avranno facile gioco sul neonato Sudan Meridionale e quei cristiani appena liberatesi dal gioco islamico torneranno nelle grinfie dell’Islam radicale.
Claudia Colombo (WI)