Ieri il dittatore siriano, Bashar al-Assad, per la prima volta ha impiegato l’esercito nel tentativo di mettere fine alle rivolte. Carri armati sono entrati in diverse città siriane, tra le quali Daraa, e hanno fatto fuoco sulla folla inerme e disarmata.
Secondo testimonianze della dissidenza, è stata una strage. Centinaia di persone sono in fuga dalla Siria. In molti si sono diretti verso la Giordania che però ha chiuso le frontiere. Centinaia hanno persino raggiunto il territorio del nemico giurato di Assad, Israele, chiedendo rifugio e assistenza umanitaria al Governo israeliano. Per la prima volta rappresentanti delle opposizioni siriane hanno chiesto un intervento armato della comunità internazionale.
Un giovane appena arrivato in Israele dalla Siria ha raccontato che l’esercito sta facendo una strage e ha chiesto il motivo per cui la comunità internazionale non interviene come ha fatto con la Libia. “Per la Libia si è detto che l’intervento era di tipo umanitario in quanto Gheddafi stava sterminando il suo popolo” – ha detto ai media il giovane siriano – “allora perché la comunità internazionale non fa lo stesso con la Siria dove Assad sta facendo peggio di Gheddafi?”. Domanda lecita ma che temiamo rimarrà senza risposta.
La Siria non ha i pozzi di petrolio e nonostante la sua importanza strategica in Medio Oriente, si preferisce assistere inermi alle stragi piuttosto che intervenire come si è fatto in Libia. Il Premio Nobel per la Pace, Barack Obama, dopo che ha spinto all’inverosimile per un intervento armato in Libia, con la Siria si limita a mandare letterine d’amore ad Assad chiedendo gentilmente che si metta fine alla strage di giovani siriani affamati di libertà. Chi glielo spiega questo a quel giovane siriano che ha preferito Israele al suo Paese? Chi glielo spiega a quei giovani siriani che chiedono libertà che l’occidente li lascerà da soli contro i carri armati del regime così come fece due anni fa con i giovani iraniani?
In compenso ieri il Primo Ministro turco, Tayyip Erdogan, uno che di repressioni se ne intende, ha garantito al Presidente americano che sta trattando con Assad per convincerlo a interrompere le stragi o quantomeno a rispettare quel documento dove si stabilisce un limite di 20 morti al giorno che non fa scattare l’indignazione internazionale. Insomma, un piccolo tributo di sangue bisogna pur pagarlo sull’altare della diplomazia a due facce inaugurata proprio dal Premio Nobel per la Pace.
Si tranquillizzino però i manifestanti siriani. Ieri Francia, Gran Bretagna, Germania e Portogallo hanno chiesto all’Onu un consiglio straordinario per condannare le stragi in Siria. Quando alle Nazioni Unite si saranno messi d’accordo, se mai avverrà, spediranno una raccomandata ad Assad piena di parole molto dure per condannare la sanguinaria repressione e per denunciare la mancata applicazione del documento segreto dove si fissa a 20 il numero massimo di morti per ogni giorno.
Ecco, questo è il quadro reale che descrive quello che la comunità internazionale sta facendo nei confronti della Siria. Chi glielo spiega a quel ragazzo e a quelle migliaia di giovani affamati di libertà che tanta simpatia avevano suscitato nella intellighenzia di sinistra occidentale che per le altre rivoluzioni aveva urlato alla “svolta storica e democratica” nei paesi arabi e che per la Siria se ne sta muta come un pesce di fronte alle stragi, che se si aspettano un intervento della comunità internazionale fanno prima ad aspettarsi un intervento divino? Chi glielo dice che saranno lasciati soli con Assad e i suoi pasdaran iraniani? Sacrificati sull’altare della politica obamiana della “mano tesa”. E se qualcuno ancora si chiede perché con la Siria non si fa quello che si è fatto con la Libia, si metta il cuore in pace. Assad è protetto Obama oltre che da Ahmadinejad e questa è una garanzia non da poco.
Miriam Bolaffi