Oggi vogliamo essere ottimisti e vogliamo pensare che il referendum in Sud Sudan sancisca la separazione del Sud dal Nord e che tale separazione avvenga senza traumi, guerre e scontri etnici. Allo stato attuale un sogno, certo, ne sono consapevole, però lasciatemi sognare almeno per un attimo.
Immaginiamo allora che tutto sia andato bene e che a Juba si sia insediato un Governo stabile e democratico. Il nuovo Sudan Meridionale (non si sa ancora come si chiamerà), come tutti gli Stati indipendenti avrà bisogno di soldi per far funzionare la macchina dello Stato (giustizia, sanità, scuola ecc. ec.), per fornire servizi ai cittadini, per costruire infrastrutture e per fare tutte quelle politiche di sviluppo necessarie a trasformare uno dei paesi più poveri al mondo in un paese moderno, funzionale e che sappia sfruttare al meglio le enormi risorse di cui dispone.
La prima risorsa che mi viene in mente è il petrolio di cui il sottosuolo è ricchissimo. La vendita del prezioso liquido farà entrare nelle casse del neonato Stato un enorme flusso di denaro anche perché sarà gestito da Juba e non più da Khartoum che negli ultimi cinque anni ha devoluto al sud solo le briciole. Ora l’importante è saper gestire nel migliore dei modi questo flusso di denaro. La prima cosa da fare sarà quindi creare un apposito ministero che provveda a gestire e a distribuire il denaro agli altri ministeri, primo fra tutti quello della Sanità e quello delle Infrastrutture. Ospedali e strade sono infatti la priorità in Sud Sudan. I primi perché la situazione sanitaria è davvero critica, le strade invece perché sono la base di partenza per implementare lo sviluppo del commercio, dell’industria e dell’agricoltura che dovranno far decollare stabilmente l’economia sud-sudanese. I primi anni quindi si dovranno investire i proventi della vendita del petrolio nella costruzione del nuovo Stato.
La seconda risorsa che mi viene in mente e di cui invece si parla poco, è l’agricoltura. Un recente rapporto del World Food Programme dimostra come se l’agricoltura sud-sudanese riuscisse a decollare definitivamente, magari implementando programmi agricoli moderni, potrebbe coprire non solo il fabbisogno interno ma addirittura esportare i prodotti all’estero per centinaia di milioni di dollari l’anno. Ne avevano parlato ad Afriradio (la radio di Nigrizia) anche Franco Londei e Fortuna Ekutsu Mambulu durante una intervista dedicata al referendum in Sud Sudan. In quel frangente era emerso che Banca Mondiale aveva un progetto fermo da anni per bonificare una vastissima area nella regione di Jonglei. Il Progetto, originariamente chiamato “Mungalla Sugar Project”(ma non chiedetemi perché), prevedeva la bonifica dell’area e la costruzione di una serie di canali per l’irrigazione che avrebbero favorito l’agricoltura in questa fertilissima terra. Ora World Bank ha di nuovo tirato fuori quel progetto che in pochi anni potrebbe dare un volto nuovo all’agricoltura del Sud Sudan.
E poi ci sono le altre risorse del sottosuolo non ancora sfruttate: oro, coltan, tungsteno, forse diamanti, rame, si dice uranio e tanti altri minerali nobili. Lo sfruttamento di queste risorse potrebbe dare ulteriori entrate al Sud Sudan e favorire l’industria. Molti investitori stranieri stanno infatti guardando con estrema attenzione a quello che avverrà per poi poter investire in questa nuova realtà africana. L’importante è che il nuovo Governo non permetta alle compagnie straniere di depredare le risorse (come è avvenuto in altre realtà africane) ma che stabilisca delle regole precise per lo sfruttamento e che i profitti di tali risorse rimangano al popolo sud-sudanese.
Qualcuno dirà che sono una inguaribile ottimista, ma io il futuro del Sud Sudan lo vedo roseo a condizione però che Bashir non faccia il pazzo e scateni una nuova guerra per non cedere tutte queste risorse ai sud-sudanesi. Per adesso, con le dovute cautele, sembra procedere tuto per il meglio ma solo il tempo potrà dirci se il sogno sud-sudanese potrà trasformarsi in una splendida realtà.
Claudia Colombo