Si susseguono senza sosta le riunioni tra i responsabili della sicurezza e dell’intelligence dei principali Paesi Arabi che fanno capo alla Lega Araba. Il tempo stringe e tutti si rendono conto che la “soluzione finale iraniana” pensata per l’Iraq si sta avvicinando. Sullo sfondo, ma molto sullo sfondo, la annosa questione tra palestinesi e israeliani.
L’Iran sta prendendo il controllo dell’Iraq molto più velocemente di quanto si pensasse fino a poco tempo fa. Già controlla tutto il sud dell’Iraq attraverso le milizie agli ordini di Moqtada al-Sadr e si appresta a stabilire il suo controllo anche sul centro del Paese, abitato principalmente dai sunniti, e sul nord Kurdo.
Le sanzioni occidentali non stanno avendo alcun risultato sull’economia iraniana. Le industrie occidentali sono state prontamente sostituite da quelle cinesi che hanno portato l’interscambio tra Iran e Cina a 21 miliari di dollari, il che fa di Pechino il primo partner commerciale di Teheran. I prodotti sotto embargo entrano in Iran con la stessa frequenza di prima grazie a triangolazioni con una rete di ditte basate a Dubai che aggirano l’embargo quando e come vogliono. La Turchia sta facendo passare praticamente di tutto, a partire dalla benzina che viene spacciata da Teheran per prodotto raffinato in Iran. Che dire poi delle armi? Dalla Bielorussia arrivano gli ultimi ritrovati dell’industria bellica russa, dalla Cina arrivano sistemi d’arma antiaerei e antinave, la Turchia sta fornendo a Teheran tutte le informazioni necessarie a implementare modernissimi progetti di aerei drone copiati da quelli israeliani, compreso la tecnologia per intercettarli.
Tutto questo sta allarmando fortemente i Paesi arabi che hanno dato il via al più colossale acquisto di armi della storia moderna. Contratti per 120 miliardi di dollari sono stati conclusi dall’industria bellica americana con i Paesi del Golfo Persico. Altri contratti sono in definizione con l’industria bellica italiana e con altri Paesi europei (soprattutto la Francia). L’obbiettivo è quello di contrastare con qualsiasi mezzo l’espansionismo di Teheran. Un anticipo lo abbiamo visto con quello che sta accadendo in Yemen dove gli eserciti sauditi e iraniani si stanno già scontrando da mesi in una guerra che all’inizio era sommersa ma che sta venendo alla luce con sempre più evidenza.
I servizi di intelligence arabi sono concentrati a studiare le mosse iraniane molto più di quanto non lo siano nei confronti delle mosse israeliane. E’ chiaro che anche i colloqui di pace tra israeliani e palestinesi ne risentono pesantemente. La Lega Araba ha ridotto in maniera sostanziale i finanziamenti alla Autorità Nazionale Palestinese. Solo dopo molte insistenze da parte dei sauditi gli Emirati Arabi Uniti hanno versato 15 milioni di dollari nelle casse della ANP per permettere il pagamento degli stipendi di settembre ai dipendenti “statali” (compresi quelli nella Striscia di Gaza), ma è ovvio che gli arabi hanno posto la questione palestinese in posizione secondaria rispetto al “rischio Iran”. Per la prima volta nella storia moderna del Medio Oriente si parla abbastanza apertamente di collaborazione tra le intelligence arabe e quella israeliana in configurazione anti-iraniana. E’ un fatto senza precedenti che dimostra quanto i Paesi Arabi siano preoccupati dell’espansionismo iraniano.
Paradossalmente l’unico che ancora crede che la situazione con l’Iran si possa ricucire è il Presidente americano Obama che ancora pochi giorni fa all’Onu ha ribadito la linea della “mano tesa” con Teheran, salvo poi vedersela tagliare (la mano) dalle dichiarazioni di Ahmadinejad.
Chi in questi giorni vive la frenesia dei continui incontri tra i massimi esponenti dei Paesi della Lega Araba non può non notare come “l’allarme Iran” sia valutato dal mondo arabo e come, in particolare i Paesi del Golfo, siano realmente preoccupati per il destino dell’Iraq (in primis) e di tutto il Medio Oriente. Quello che al momento sembra più che evidente, come principale conseguenza di questo allarme, è l’escalation della corsa al riarmo in Medio Oriente, un fatto che senza dubbio arricchisce le fabbriche di armi (e qui Obama ci ha messo lo zampino) ma che rende la situazione nella regione altamente esplosiva e terribilmente pericolosa.
Miriam Bolaffi