Israele-Palestina: l’illusione di una pace a metà

In queste prime ore della giornata tutti i media mondiali riportano con enfasi la notizia che Israele e Autorità Nazionale Palestinese (ANP) starebbero per riprendere i colloqui diretti di pace su fortissima pressione americana, anche se ufficialmente sarebbe il cosiddetto quartetto (USA, Unione Europea, Russia e Onu) a coordinare la cosa. L’intenzione è quella di far incontrare Netanyahu e Abu Mazen a Washington il prossimo 2 settembre.

Beh, se la storia ci insegna qualcosa il mondo non dovrebbe farsi tante illusioni. Prima di tutto è perfettamente inutile trattare con Abu Mazen che, nella migliore delle ipotesi, rappresenta solo il 50% dei palestinesi. Che senso avrebbe arrivare di nuovo (e sottolineo di nuovo) ad accordi con l’Autorità Nazionale Palestinese se poi questa non li mantiene su pressione di Hamas e degli odiatori di Israele al suo interno, che poi non sono così pochi. In secondo luogo, sempre la storia ci insegna che Abu Mazen, da buon seguace di Arafat, a Washington dice e firma una cosa per poi rinnegarla a Ramallah. Purtroppo le cosiddette “organizzazioni del rifiuto” sono ancora molto forti in Palestina e Abu Mazen ne sente l’influenza in maniera decisiva. Infine un accordo con la sola ANP dovrebbe riguardare esclusivamente la Cisgiordania ed escludere la Striscia di Gaza che chiaramente non è nella disponibilità della Autorità Nazionale Palestinese. Cosa si fa? Si creano due Stati palestinesi?

Escludendo a priori qualsiasi trattativa con Hamas, come si pensa di risolvere il problema della Striscia di Gaza? Il problema non è di poco conto perché, come detto, il rischio è quello di fare un accordo per la Cisgiordania e lasciare Gaza al suo destino nelle mani di Hamas legittimandone di fatto il Governo e creando così uno stato palestinese all’interno della Palestina stessa.

Insomma, la ripresa dei colloqui tra Israele e ANP sembra tanto uno spot pubblicitario fatto ad uso e consumo del Presidente Obama, del quartetto e di quei Paesi arabi che in qualche modo devono dimostrare alla loro opinione pubblica che qualcosa stanno facendo per i palestinesi. Ma se qualcuno si aspetta veramente qualcosa da questo faccia a faccia credo che farebbe bene a non perderci il sonno. Innanzi tutto le condizioni poste da Abu Mazen solo poche settimane fa non sono accoglibili da Gerusalemme e a meno che quelle condizioni non siano decadute l’incontro si risolverà in una gita a Washington e magari in una bella e succulenta cena, ma niente di più. E poi, come detto, c’è da risolvere la questione di Hamas. Fino a quando il movimento terrorista avrà il controllo della Striscia di Gaza, qualsiasi accordo sarà solo un accordo a metà. Gli ottimisti potrebbero dire che un accordo e metà e sempre meglio di un non accordo. Questo è vero da tutte le parti del mondo ma non in Palestina. Il rischio di legittimare il regime terrorista di Hamas è troppo grande per essere sottovalutato come purtroppo credo stia avvenendo. I terroristi che controllano la Striscia di Gaza si potrebbero sentire legittimati a tutti gli effetti a separarsi definitivamente dalla Cisgiordania rinfacciando alla ANP, come sempre hanno fatto, di aver raggiunto un accordo con il nemico ai soli fini di interesse. Quell’accordo a metà potrebbe quindi diventare la pietra tombale per la pace in Medio Oriente.

In definitiva è nostra opinione (mia e di questa organizzazione) che qualsiasi accordo tra Israele e Palestina non possa prescindere dal risolvere la questione della Striscia di Gaza. Se non si elimina definitivamente Hamas sarà come curare un cancro alla testa lasciando che sia quello ai polmoni a ucciderci. O si attua una cura definitiva oppure tanto vale lasciare le cose come stanno.

Miriam Bolaffi