A quanto pare la Turchia islamica di Recep Tayyip Erdogan ha assunto la leadership del movimento “pacifista” filo Hamas. No, non è un errore di battitura il mio, non ho sbagliato a scrivere Hamas al posto di “palestinese”. C’è molta differenza tra l’essere filo Hamas e l’essere filo palestinese. E non ho nemmeno sbagliato a mettere la parola pacifista tra il virgolettato, perché adesso vedremo quanto è “pacifista” la Turchia.
La Freedom Flotilla e la Ong IHH – “piccola flotta della libertà” questo significa Freedom Flotilla, un nome che prende in prestito due termini di lingue differenti: freedom dall’inglese e flotilla dallo spagnolo. Senza dubbio un nome suggestivo che evoca epiche lotte per la libertà. In effetti c’è ben poco di pacifista in questo nome ideato dalla Ong turca IHH. Già ieri Miriam Bolaffi nel suo articolo aveva dato una piccola descrizione di questa controversa Ong turca che amministra milioni di dollari e sostiene apertamente la Jihad globale, che da anni sostiene finanziariamente Hamas e altre organizzazioni islamiche legate ai Fratelli Musulmani. Negli anni scorsi, prima dell’avvento di Erdogan, la IHH veniva tollerata dal Governo turco, ma dall’ascesa al potere di Erdogan con il conseguente cambio di rotta islamista della Turchia, la IHH ha assunto sempre più potere all’interno della Turchia. Il Governo turco ha iniziato a finanziarla e, soprattutto, ad usarla. Molto facile usare il paravento di una “organizzazione umanitaria” per condurre una politica aggressiva volta principalmente al potenziamento della linea islamica voluta da Erdogan, una linea che si discosta completamente da quella laica portata avanti dalla Turchia fino qualche anno fa e voluta dal suo padre fondatore, Mustafa Kemal Atatürk. Uno degli scopi principali della IHH è sempre stato quello di sostenere Hamas e in questo il Governo di Erdogan l’ha senza dubbio favorita elargendole diversi milioni di dollari e conducendo una politica estera che gradualmente ha assunto nette posizioni anti-israeliane e filo Hamas. La politica estera implementata dal Governo turco negli ultimi mesi è stata tutta volta a rafforzare i legami con i maggiori nemici di Israele: Siria, Iran ed Hamas. In particolare con l’Iran (ma lo vedremo in seguito) il rapporto si è fatto molto forte. In questo contesto nasce l’idea della Freedom Flotilla, una specie di ariete per scardinare il legittimo blocco imposto da Israele ed Egitto sulla Striscia di Gaza e su Hamas. Paradossalmente, nei fatti accaduti i giorni scorsi, una delle principali vittime è proprio l’Egitto, costretto a riaprire i valichi con Gaza per sedare preventivamente le prevedibili manifestazioni dei Fratelli Musulmani, molto forti in Egitto. La Freedom Flotilla è stata quindi una vera e propria arma politica contro Israele ed Egitto a favore di Hamas e dei suoi padri putativi, quei Fratelli Musulmani ancora così potenti all’interno dell’Egitto, specie in un momento pre-elettorale come questo. Niente di umanitario quindi.
Il patto con gli Ayatollah iraniani – Alla fine del 2008 viene siglato un accordo di collaborazione militare tra Turchia e Iran che all’apparenza riguarda solo il territorio del Kurdistan (quello turco e quello iraniano). Al patto aderirà nel 2009 anche la Siria. L’accordo prevede una collaborazione militare volta a contrastare i gruppi di resistenti kurdi presenti nelle regioni dei rispettivi stati, cioè il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) in Turchia, e il PJAK (Partito per la Libertà del Kurdistan) in Iran e in Siria. In realtà l’accordo prevede ben altre cose, tra le quali la deportazione dei dissidenti (Kurdi e non) di uno qualsiasi dei tre Paesi arrestati durante il transito in uno dei Paesi firmatari. Questa parte dell’accordo ha riguardato in particolare la Turchia e l’Iran, specie negli ultimi mesi. Sono infatti centinaia i dissidenti iraniani arrestati in Turchia e poi deportati in Iran. La dissidenza iraniana ha calcolato che siano circa 800 i dissidenti iraniani arrestati dalla turchia mentre cercavano di raggiungere l’Europa per sfuggire alla repressione degli Ayatollah seguita al colpo di stato dello scorso anno. Di questi almeno 300 sono ancora detenuti nelle carceri turche in attesa di essere deportati in Iran. Secondo Protocollo ha notizie certe di almeno 60 dissidenti iraniani incarcerati attualmente nel carcere di massima sicurezza di Buca Kiriklar a Izmir. L’accordo di collaborazione politico-militare tra Turchia e Iran è solo il primo tassello di quello che diventerà poi un vero e proprio mosaico di interessi militari e politici in Medio Oriente, interessi che giocoforza si scontrano con quelli israeliani ed egiziani e che calpestano apertamente ogni tipo di Diritto Umano.
Il Kurdistan – Da quando Erdogan è salito al potere si è intensificata la repressione contro il popolo kurdo e contro i gruppi di resistenza kurdi. La legge varata nel 2009 che aboliva quella varata da Atatürk che vietava di parlare in lingua kurda (pena l’arresto e una lunga detenzione) non è mai stata applicata. In Kurdistan la polizia turca continua a incarcerare la popolazione beccata a parlare in kurdo. L’aviazione turca bombarda periodicamente i villaggi kurdi dove ritiene si nascondano i guerriglieri del PKK con centinaia di vittime civili. Ma di questo in occidente non se ne parla se non in alcuni siti specializzati gestiti da dissidenti kurdi. Diverse volte l’esercito e l’aviazione turca sono entrati in territorio iracheno per compiere i loro massacri, il tutto senza che nessuno interferisse nonostante le reiterate proteste del Governo della regione Kurda dell’Iraq. Anche in questo caso centinaia di civili iracheni hanno perso la vita. Non c’è che dire, un Paese pacifista la Turchia.
Avanzata dell’Islam estremista – Da quando Recep Tayyip Erdogan è salito al potere la Turchia ha visto il progressivo avanzare dell’Islam più integralista. I Diritti delle donne sono notevolmente regrediti. I casi di violenza legati alle usanze islamiche si sono moltiplicati come i casi di intolleranza religiosa, il tutto nella sostanziale immobilità (quando non compiacenza) del Governo turco. Moltiplicati anche i casi di matrimoni imposti tra adulti e bambine non consenzienti. Non stupisce quindi l’amore turco verso Hamas, notoriamente ben predisposto a questo tipo di matrimoni.
Questo è, molto in sintesi, il “pacifismo” turco. A dire il vero ce ne sarebbero di cose da scrivere, ma è quasi impossibile farlo in un singolo articolo, per cui vedremo di redigere un dettagliato rapporto. Un fatto è certo: se l’Europa vedeva nella Turchia un ponte verso l’islam e per questo voleva (e vuole) il suo ingresso nell’Unione Europea, si sbaglia di grosso. L’unico ponte che può rappresentare l’attuale Turchia è quello verso l’estremismo islamico che, con le frontiere aperte, avrebbe facilmente accesso alle nostre città. I fatti legati alla Freedom Flotilla dimostrano inequivocabilmente la deriva estremista presa dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Secondo Protocollo sta lavorando affinché l’Europa e le Nazioni Unite accertino con chiarezza il ruolo di Ankara in tutta questa faccenda, un ruolo esclusivamente politico e non, come si vuol far intendere, “umanitario” o “pacifista”.
Noemi Cabitza