L’industria palestinese del falso, l’unica che non conosce crisi

Una volta si diceva che i migliori falsari erano i napoletani, poi soppiantati dai cinesi. Oggi c’è una industria del falso che non viene considerata per quello che veramente è, quella che, come per i Rolex, è in grado di trasformare clamorosi falsi in originali. E’ l’industria palestinese del falso.

C’è un sito che racchiude tutti i maggiori falsi studiati a tavolino dalla fiorente industria del falso palestinese e in particolare quella che riguarda i falsi sui bambini, quelli che più attecchiscono sull’opinione pubblica. Il sito si chiama “Sionismo istruzione per l’uso” (qui il link) che alla voce “bambini palestinesi” (qui il link) evidenzia alcuni falsi clamorosi girati di recente in rete. Per chi volesse vederli tutti può andare nella apposita pagina creata su Facebook (qui il link).

Ma le menzogne sui bambini sono solo la punta dell’iceberg. Infatti bisogna dare atto ai palestinesi e alle molteplici organizzazioni filo-palestinesi che girano attorno a questo business (perché la Palestina è un enorme business che non ha niente a che vedere con la missione umanitaria) di aver capito prima di tutti gli altri l’importanza della informazione in rete. Basti pensare che una grande maggioranza di internauti crede che Gaza sia “occupata” o che, nella migliore delle ipotesi, sia “sotto assedio”, che ha Gaza ci sia una immensa povertà e che manchi di tutto.

Quello della Striscia di Gaza è senza dubbio il falso più ben riuscito a filo-palestinesi e pacivendoli di ogni latitudine. Basti pensare alla ridondanza mediatica che ogni anno ha l’organizzazioni di lussuose vacanze a Gaza fatte passare per missioni di aiuto umanitario genericamente denominate “freedom flotilla”. Quella di quest’anno partirà a breve (qui qualche informazione) ed è già aperta la corsa alla glorificazione degli impavidi vacanzieri pacivendoli che sfideranno il blocco dei perfidi israeliani che non permettono ad armi ed esplosivi di arrivare agli amati (dai pacivendoli n.d.r.) terroristi di Hamas. Poco importa che Gaza sia tutt’altro che, come viene definita, un “prigione a cielo aperto”. Anzi, non mancano lussuosi ristoranti (qui un esempio) dove andare a mangiare magari spalla a spalla con i nostri eroici “resistenti” di Hamas. Ci sono grandi centri commerciali (qui un video shoccante sulla crisi di Gaza City), mercati dove trovare ogni ben di Dio (qui un video più che eloquente) e tante altre belle cose (ville faraoniche, macchine di lusso ecc. ecc.). Persino Abu Mazen, che di professione fa il mentitore, ha raccontato all’Economist che a Gaza ci sono più di 800 milionari ammettendo di fatto che non c’è alcuna crisi. Non che non ci saranno dei poveracci, ma quelli li potete trovare anche nelle modernissime capitali europee (provate ad andare ad Atene, Madrid o anche a Roma).

Un’altra menzogna clamorosa è quella che vuole la Cisgiordania occupata dai sempre perfidi israeliani e che, proprio perché occupata, non in grado di ottenere la tanto agognata indipendenza. In realtà tutti sarebbero contenti di dare alla Palestina la sua indipendenza, tutti salvo i palestinesi e chi li usa come carne da cannone in configurazione anti-israeliana (dall’Iran all’Arabia Saudita passando per Hamas ed Hezbollah). I palestinesi hanno tutto da perdere, a partire dalla loro leadership, da una eventuale indipendenza. In primo luogo perché poi gli tocca lavorare per mantenersi  e poi perché verrebbero meno gli aiuti dati a pioggia dalla comunità internazionale (11 miliardi di dollari l’anno). Una volta riconosciuto come Stato indipendente la Palestina dovrebbe sottostare (come tutti gli altri) alle regole imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dagli altri organismi, il che vorrebbe dire la fine della bisboccia e dei versamenti sui conti svizzeri. E poi sarebbe la fine della macchina degli “aiuti umanitari” che, come detto, è un business non da poco. E allora cosa si fa per evitare che ciò avvenga? Si fanno richieste impossibili da accogliere dalla controparte israeliana, come per esempio su Gerusalemme, sul ritorno dei presunti profughi (che profughi non sono), di abbandonare senza condizioni le colonie ecc. ecc. In sostanza si vuole mantenere all’infinito la situazione attuale bloccando in vario modo le trattative.

Naturalmente l’industria palestinese del falso fa in modo che il tutto passi come “colpa israeliana” magari condendo il tutto con qualche episodio di scontro tra i coloni ebrei e gli arabi. Ma si guardano bene dal dire la verità perché la perdita in termini di guadagno sarebbe enorme e, si sa, in un momento di crisi mondiale vanno salvaguardati tutti i settori industriali.

Qual è il succo del discorso? A Gaza non c’è alcuna crisi umanitaria, c’è invece uno sfruttamento feroce del concetto stesso di “crisi umanitaria”, uno sfruttamento che rende milioni e milioni. La Cisgiordania potrebbe ottenere l’indipendenza totale anche domattina se lo volesse (Arafat aveva ottenuto di tutto e di più), ma la cosa non conviene proprio ai palestinesi a ai loro sfruttatori, quel nugolo di pacivendoli e Stati che hanno tutto l’interesse ad avere una scusa buona per mantenere intatto lo stato attuale di cose. Non parliamo poi dei leader palestinesi come l’uomo dalle scarpe da 25.000$ (Abu Mazen). Per lui si che sarebbe una perdita enorme.

Noemi Cabitza