Islamizzazione dell’Africa: non possiamo continuare a girarci dall’altra parte

In Africa siamo di fronte a una vera e propria invasione islamica estremista. Il Sahel, l’Africa Sub-sahariana, l’Africa orientale e occidentale sono diventate terra di conquista dell’Islam integralista. Per non parlare poi del Nord Africa, vittima delle cosiddette “primavere islamiche” che invece di portare democrazia hanno trasformato Tunisia, Libia ed Egitto in altrettanti califfati islamici.

E’ una situazione che inizia ad allarmare anche il U.S. Africa Command (AFRICOM) che negli ultimi tempi ha aumentato notevolmente le sue operazioni di intelligence in Africa. A destare preoccupazione sono in particolare la situazione in Mali e un po’ in tutto il Sahel dove l’infiltrazione di Al Qaeda è particolarmente intensa.

Il problema è il solito. L’Islam integralista attecchisce dove la povertà è più accentuata, anche grazie al sistema di “assistenza islamica” che, bisogna ammetterlo, funziona molto meglio di quello occidentale o cristiano. La situazione è decisamente peggiorata in concomitanza della crisi che ha colpito l’occidente e a causa della quale sono stati tagliati di un buon 70% gli aiuti umanitari di assistenza. Gli islamici hanno saputo approfittare di questa “mancanza” insinuandosi nelle società più povere, vittime dalla carestia che da est e ovest ha colpito il continente africano.

Ad aggiungersi alla scarsità di fondi da destinare agli aiuti umanitari che ha favorito l’ingresso dell’Islam integralista in molte aree africane c’è anche l’obsoleto sistema assistenzialistico implementato più che altro da ONG cristiane o addirittura dai missionari, un sistema basato su quella che noi chiamiamo la “teologia del container” ripreso e migliorato dagli islamici che lo attuano a 360° nelle aree di loro interesse. E dove la teologia del container fallisce adottano quella del kalashnikov, come per esempio in Somalia o nel nord del Mali.

Purtroppo l’occidente, distratto com’è dalla perdurante crisi economica, non se ne accorge di quanto sta avvenendo nel continente africano, oppure se ne accorge ma fa prevalere quella brutta malattia che si chiama “buonismo” che spinge i Governi occidentali ad accettare passivamente questa vera e propria invasione islamica nel nome della “non interferenza”.

Noi non siamo d’accordo con questa linea che contempla solo la passività di fronte al montare dell’islam integralista in Africa e crediamo che, in assenza di azioni concrete volte a fermare l’avanzata islamica, si debbano usare le uniche due armi che il bieco islamismo teme (così come ogni forma di religione basata sul dominio): lo sviluppo e la conoscenza.

Molte volte (troppo spesso) quando si parla di aiuti umanitari la parola “sviluppo” viene confusa con la parola “assistenza” ma tra i due termini vi è una differenza enorme. Anzi, in molte occasioni l’assistenza pregiudica lo sviluppo. Proprio per questo il sistema assistenzialistico viene usato massicciamente dalle organizzazioni islamiche (ma anche cristiane), perché di fatto costringe le popolazioni a rimanere succubi dei loro “benefattori” senza per questo cercare altre vie, come per esempio l’autosufficienza che si può raggiungere solo con programmi di sviluppo. L’arma dell’assistenzialismo è stata usata massicciamente in passato dai missionari cristiani ed è usata massicciamente oggi dagli islamisti.

Ma per fare questo, tra le altre cose,  hanno bisogno di mantenere la popolazione nell’ignoranza o al limite di insegnare loro solo quello che può tornare utile ai cosiddetti “benefattori”. E se i missionari cristiani costruivano scuole di chiaro orientamento cattolico indottrinando i bambini sulla via da loro voluta mantenendoli comunque  entro un certo grado di “conoscenza non nociva”, gli islamici vanno addirittura oltre con la costruzione massiccia di  madrasse interdette alle femmine e orientate esclusivamente all’insegnamento del Corano e della legge islamica.

Ignoranza e assistenzialismo, ecco i due veleni dell’Africa che stanno favorendo la massiccia avanzata dell’Islam dopo aver per molto tempo favorito il cristianesimo senza però portare alcun beneficio effettivo alle popolazioni africane. E’ un paradosso enorme che il continente più ricco di risorse al mondo sia anche quello più povero a causa di secoli di neo-colonialismo prima e di assistenzialismo poi.

Come cambiare le cose? Nel 2010 Secondo Protocollo ha messo a punto un progetto multisettoriale dedicato esclusivamente allo sviluppo, il “progetto Haven”. Dove il progetto Haven è stato implementato (dalle migliori Ong del mondo) si è notato da subito un rapido miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni e si è passati nel volgere di pochi mesi da un sistema prettamente assistenziale ad un sistema micro-economico che ha garantito l’autosufficienza, una maggiore fruizione dei Diritti Umani e, in alcuni casi, un miglioramento del sistema politico locale con un accentuato decentramento. In questi due anni di test il “progetto Haven” ha implementato progetti di sviluppo in Uganda, Sud Sudan e Zambia con risultati davvero notevoli. Noi crediamo che un ampliamento di questo sistema ormai collaudato di sviluppo possa contribuire notevolmente a salvare molte aree del continente africano dalla morsa dell’estremismo islamico. Lo abbiamo potuto vedere soprattutto  in Uganda e in Sud Sudan dove i fondi dei donatori sono stati usati egregiamente dalle Ong che avevano preso in carico i singoli progetti (i dettagli dei progetti implementati dalle Ong verrà reso pubblico entro il mese di agosto con un apposito rapporto).

Ecco perché pensiamo che dopo due anni di test sia arrivato il momento di “esportare” il progetto Haven anche in altri Paesi africani, a partire da quelli del Nord Africa, del Sahel e dell’Africa orientale che stanno subendo una vera e propria islamizzazione con conseguenze impressionanti sulle condizioni di vita delle popolazioni  e sulla fruizione del Diritto. Noi riteniamo che occorra uscire dal vicolo cieco dell’assistenzialismo e dalla cosiddetta “condizione emergenziale” che non può e non deve andare oltre i 12 mesi senza correre il rischio che si cronicizzi (vedi Somalia). E’ chiaro che per fare questo occorre “creare le condizioni”, cioè occorre mettere in grado le Ong di implementare i progetti in assoluta sicurezza. Il “concetto afghano” secondo il quale “non bisogna interferire con le usanze locali” va superato se veramente vogliamo favorire lo sviluppo delle aree interessate, anzi, occorre interferire massicciamente.

Noi riteniamo che il pericolo rappresentato dall’Islam in Africa sia un pericolo concreto, sia per gli africani che, in un’ottica di onda lunga, per l’occidente. Il fatto stesso che quest’anno si sia raggiunto il record di migranti e di richiedenti asilo, tutti o quasi proveniente da Paesi interessati da questo fenomeno, ci deve far pensare su che strada stia rendendo l’Africa. E noi non possiamo continuare a girarci da un’altra parte.

Secondo Protocollo

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