Nel giorno in cui la Russia chiede il prepotente rientro delle Nazioni Unite nei colloqui tra israeliani e palestinesi, nel giorno in cui si apprende che la Giordania ha tolto la cittadinanza a migliaia di palestinesi per i gravi rischi che queste persone porterebbero al regno di Amman, tornano in auge su alcuni organi di stampa internazionali i soliti luoghi comuni su Israele e sulla supposta “occupazione”.
C’è la tendenza, nella stampa estera (anche quella non di parte), ad attribuire a Gerusalemme tutte le colpe dei fallimenti avvenuti nel corso degli anni in merito alle trattative di pace tra Israele e i palestinesi. Si assiste così ad una amnesia storica di proporzioni gigantesche perché si dimentica (non so quanto volontariamente) il ruolo avuto dai palestinesi e dai Paesi arabi in questi fallimenti, ruolo non certo di secondo piano.
E’ bene quindi ricordare che a tutt’oggi i palestinesi e diversi Stati Arabi non riconoscono Israele, cosa che si dimentica troppo spesso di citare. E’ bene ricordare che una larga parte di palestinesi vuole dichiaratamente la distruzione di Israele, appoggiata in questo da Siria, Iran e tutti i gruppi terroristici islamici. E’ bene ricordare che ad Arafat fu concesso praticamente tutto quello che chiedeva e che fu proprio Arafat a fare marcia indietro perché la Palestina non gli bastava più. E’ bene ricordare la dichiarazione della Lega Araba del 1987 quando formularono i famosi “tre no”: no all’esistenza di Israele, no alla pace, no a qualsiasi concessione territoriale, dichiarazione sulla quale non è mai stato fatto un passo indietro da parte dei Paesi Arabi. E’ bene ricordare che Ahmad Shukairy, capo del OLP nel 1967, pronunciò questa frase: “non c’è una via di mezzo. Questa è una lotta per la nostra patria. Noi distruggeremo Israele e uccideremo tutti. Per quelli che rimarranno vivi sono già pronte le barche per deportarli”. Quella frase a tutt’oggi è considerata da una gran parte di palestinesi una specie di “dichiarazione d’intenti” ancora valida. Infine, pochi ricordano che nel 1950 la Giordania dichiarò, con un riconoscimento di Gran Bretagna, USA e Lega Araba, l’annessione della Cisgiordania garantendo ai palestinesi residenti la cittadinanza giordana. Solo nel 1988 Re Hussein fece marcia indietro rinunciando a quei territori. Oggi toglie la cittadinanza a tutti quei palestinesi che l’avevano ottenuta per una decisione giordana trasformando improvvisamente migliaia di persone nate in Giordania in apolidi.
Potrei continuare per ore con esempi che dimostrano come l’odio dei palestinesi e del mondo arabo verso Israele prescinde dalle loro legittime rivendicazioni di avere una patria e come in effetti durante tutti questi anni tutti gli Stati arabi abbiano lavorato per impedire qualsiasi accordo con Israele. Se volevano fare uno Stato palestinese lo potevano aver fatto da anni e anni e nessuno si sarebbe opposto. Il problema sta proprio nella parola “occupazione” laddove per terra occupata si intende l’intero Stato ebraico e non qualche piccolo insediamento sparso qua e la nella West Bank. Il recente comportamento della Giordania dimostra poi, se ve ne fosse bisogno, che ormai tutti scaricano i palestinesi sulle spalle di Israele.
Se non si ricordano tutte queste cose o non si parla mai del comportamento arabo sia nei confronti di Israele che degli stessi palestinesi, non si può capire l’attuale situazione in Medio Oriente. Per esempio non si può capire come nel corso degli anni la strategia sia cambiata. Oggi l’obbiettivo finale di molti palestinesi non è più quello dei due Stati per due popoli ma quello di uno Stato binazionale. Se non si può sconfiggere Israele con la forza la si può occupare diversamente. Persino la recente decisione giordana va in questa direzione, scaricano i cittadini giordani di origine palestinese sul groppone della ANP ma con lo scopo recondito di affibbiarli a Israele.
Paradossalmente e al contrario di quanto pensano in molti, la nascita di uno Stato palestinese con tutti i carismi del Diritto Internazionale (non certo come lo intendono attualmente i palestinesi) favorirebbe proprio Israele in quanto responsabilizzerebbe la dirigenza palestinese e il popolo. Dubito però che ciò avvenga proprio per i ricorsi storici che ho (solo in parte) elencato sopra. E allora quando parliamo di “conflitto israelo-palestinese” ricordiamoci che per larga parte la fine di questo conflitto è nelle mani palestinesi e non in quelle israeliane. Insomma, non abusiamo quella volontaria amnesia storica che spesso ci fa dimenticare (o far finta di dimenticare) come e perché si è arrivati a questa condizione di stallo.
Sharon Levi