A circa cinque mesi dal referendum che dovrà decidere se il Sud Sudan si separerà dal Sudan diventando a tutti gli effetti una nazione indipendente, molti sono gli interrogativi sul futuro della nuova entità che si andrà a formare nel caso, più che probabile, che vincano le pulsioni secessioniste. E non mancano certo i problemi, sia di sicurezza che di sviluppo vero e proprio.
Uno dei problemi principali è proprio lo sviluppo. Alcuni analisti (detrattori della secessione) sostengono che se il Sudan Meridionale si dovesse separare dal Sudan sarà molto più difficile implementare quei progetti di sviluppo di cui la regione ha tanto bisogno. Già oggi ci sono immancabili difficoltà. Fatte salve le maggiori città (Juba, Wau e Malakal) le infrastrutture sono quasi completamente mancanti. Su tutto il territorio del Sudan Meridionale ci sono circa 13.000 Km di strade. Di queste solo le arterie principali sono asfaltate mentre nelle città solo le principali possono vantare un manto stradale che non sia in terra battuta (Juba 43 Km, Wau e Malakal circa 7 Km di strade asfaltate). Per il resto ci sono migliaia di Km di strade non asfaltate che durante la stagione delle piogge diventano delle vere e proprie trappole che rallentano immancabilmente il commercio e la circolazione dei beni con gravi ripercussioni sullo sviluppo. Secondo i detrattori della secessione, una eventuale separazione dal Sudan comporterebbe una maggiore difficoltà ad interagire con le nuove istituzioni e quindi sarebbe ancora più complicato implementare i progetti di sviluppo. E poi c’è la questione del petrolio. Oggi il Sud Sudan vive grazie alla vendita del petrolio (95% delle entrate) e agli aiuti umanitari. Ma tutte le infrastrutture per il trasporto e la trasformazione del petrolio sono nel nord, per cui i detrattori della secessione valutano che una volta separato il Sud dal Nord, Khartoum pretenderà un prezzo molto alto per concedere quelle infrastrutture necessarie al trasporto e alla trasformazione del petrolio che oggi concede praticamente a titolo gratuito. Questo inciderà notevolmente sulle entrate finanziarie e si ripercuoterà sullo sviluppo. In effetti le cose stanno cambiando in meglio. Proprio pochi giorni fa il Ministero dei Trasporti e delle Strade ha avuto 195 milioni di dollari per avviare la pavimentazione stradale. Un asta è stata indetta per affidare l’appalto della pavimentazione stradale. La decisione è arrivato dopo che il Ministro dei Trasporti e delle Strade, Anthony Makana, aveva lamentato un ritardo nell’accreditamento dei soldi a bilancio, fatto questo che gli impediva di appaltare i lavori. Per quanto riguarda le infrastrutture petrolifere (oleodotti e siti di trasformazione) c’è un forte impegno delle compagnie petrolifere a supportare il Governo nella loro costruzione. In particolare le compagnie cinesi (la China National Petroleum Company) hanno un piano per costruire un oleodotto che sbocchi a Port Sudan o, in alternativa, a Djibouti.
Un altro problema è l’elettricità. Solo il 13% del territorio del Sudan è coperto dal sistema elettrico. I detrattori della secessione sostengono che il Sud Sudan non sarà in grado, da solo, di ampliare la rete elettrica in tempi relativamente brevi. La cosa non è affatto vera. Sono già in corso diversi micro-progetti idroelettrici in diverse località lungo il Nilo Bianco che stanno procedendo con una certa velocità. A renderlo noto è stato nei giorni scorsi il Ministro delle Risorse Idriche, Isaac Liabwel, il quale ha parlato anche di “innovativi sistemi di irrigazione” collegati a questi progetti.
Con un territorio così vasto non raggiunto dalla elettricità è chiaro che a risentirne è anche la rete di comunicazione. La telefonia fissa raggiunge solo il 12% della popolazione, per la maggioranza quella abitante nelle città. Tuttavia a sopperire alla mancanza di telefonia fissa ci ha pensato la telefonia mobile. Tutta l’area del Sudan Meridionale è abbastanza coperta dalla rete mobile (Mobiltel e MTN Sudan con piccole sacche coperte dalla Sudan Telecommunication Company) e i prezzi sono molto accessibili. Nel Sudan Meridionale il 39% della popolazione dispone di un telefono cellulare.
Secondo i detrattori della secessione, la necessità di creare nuove istituzioni potrebbe rallentare notevolmente lo sviluppo della regione. Anche questa ipotesi è smentita dai fatti. Quando nel 2005 è stato firmato l’accordo di pace di Nairobi la Comunità Internazionale ha finanziato la creazione di 29 ministeri che coprono ogni settore, dall’istruzione alla sicurezza passando per la sanità. E’ chiaro che non si costruisce uno Stato in soli cinque anni e che gli immancabili problemi finanziari dovuti al mancato mantenimento degli impegni di alcuni donatori hanno rallentato le opere di sviluppo affidate a questi ministeri. Tuttavia è fcile fare un raffronto. Nel 2005 mancava completamente un sistema sanitario e un sistema scolastico. Oggi il Sudan Meridionale è uno dei Paesi in via di sviluppo che più hanno fatto in questi due settori specifici negli ultimi cinque anni, segno questo che i soldi della Comunità Internazionale non sono andati persi.
Per ultimo, ma non per importanza, c’è il problema della sicurezza. Anche in questo caso i detrattori della secessione puntano molto sulla mancanza di sicurezza per giustificare almeno un rinvio del referendum. In effetti il problema c’è, ma se si va alla fonte si potrà facilmente constatare che le fonti del problema stesso sono identificabili in due fattori: fattore etnico e fattore ribelli ugandesi (LRA). Il primo fattore è direttamente controllato da Khartoum. Le regioni a nord di Equatoria (monti Nuba e regione di Abyei) sono interessata da frequenti scontri tra comunità etniche Nuba e Dinka da un lato e Pastori arabi dall’altro. I primi vicini al Governo del Sud, mentre i secondi finanziati, armati e sobillati da Khartoum. In questo caso c’è una chiara azione destabilizzatrice da parte di Khartoum. Nel secondo caso, quello cioè dei ribelli ugandesi del LRA, il problema non è solo del Sud Sudan ma, come vedremo in un prossimo rapporto, sta diventando un problema regionale che coinvolge diversi Stati. Il Governo provvisorio del Sudan Meridionale non lesina gli sforzi per risolvere questo drammatico problema, ma non è così facile anche per il coinvolgimento di fattori esterni di cui parleremo proprio nel rapporto sul Lord’s Resistence Army che pubblicheremo nei prossimi giorni.
In definitiva, siamo convinti che la secessione del Sudan Meridionale dal Sudan possa portare grandissimi benefici sia alla popolazione della regione che a tutta l’area dei Grandi Laghi. E’ chiaro che i problemi ci sono. Come detto, non si può pretendere di trasformare in cinque anni una delle aree più povere del mondo, per di più uscita da oltre venti anni di guerra, in uno stato moderno e sviluppato, ma è indubbio che i risultati ottenuti in questi cinque anni dal Sudan People Liberation Movement sono assolutamente degni di nota. Se la comunità internazionale, le Nazioni Unite e i donatori faranno il loro dovere potremo vedere la nascita di uno stato africano moderno e, soprattutto, democratico. Ci vuole solo un po’ di pazienza e, soprattutto, meno detrattori. Per spiegare ancora meglio la situazione in Sud Sudan vi rimandiamo alla pubblicazione del rapporto che renderemo pubblico entro metà settembre e che prenderà in esame tutte le regioni del Sudan Meridionale.
Secondo Protocollo