Ieri il Quartetto per il Medio Oriente (Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Nazioni Unite) riunitosi a Mosca, ha fatto la sua ennesima dichiarazione di intenti sulla questione israelo-palestinese, l’ennesima presa di posizione finalizzata al nulla e destinata, come le altre volte, a inasprire le tensioni piuttosto che a risolvere.
Secondo il programma stilato dal Quartetto, Israele e palestinesi dovrebbero riprendere immediatamente i colloqui e arrivare entro 24 mesi alla definizione di uno Stato Palestinese. Senza dubbio un programma ambizioso che però, ammesso e non concesso che i palestinesi siano realmente interessati a risolvere una volta per tutte la questione, non tiene conto del terzo incomodo, cioè di Hamas.
A dire il vero si potrebbe parlare di “terzi incomodi” perché con Hamas bisognerebbe metterci l’Iran che certo ha tutto l’interesse affinché israeliani e palestinesi non raggiungano alcun accordo e che la tensione in Medio Oriente rimanga alta. E’ lo stesso Abu Mazen ad accusare Teheran di boicottare la riconciliazione tra Fatah e Hamas e di impedire così l’inizio di trattative serie per la formazione di uno Stato palestinese. Allo stato attuale, infatti, la Palestina è divisa in due zone ben distinte, la Cisgiordania governata (per il momento) dalla Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e la Striscia di Gaza governata da Hamas. Non si capisce bene quindi con chi Israele dovrebbe tenere i cosiddetti colloqui di pace e su che basi dovrebbe farlo dato che Hamas ha ribadito a più riprese che non intende né riconoscere lo Stato di Israele né fermare la sua lotta per la distruzione dello Stato ebraico. Colloqui tenuti solo con la ANP e quindi con Fatah non risolverebbero la questione e sarebbero a dir poco incompleti.
Di questa situazione sul terreno il Quartetto sembra non tenerne conto, come sembra non tenere conto della condizione indispensabile e, soprattutto preventiva, affinché le due parti si parlino: il reciproco riconoscimento. I palestinesi, sia Hamas che Fatah quindi senza alcuna distinzione, continuano a non riconoscere Israele e tendono (almeno per quanto riguarda Fatah) a mettere detto riconoscimento come conseguenza di un accordo di pace e non come indispensabile atto preventivo per potersi mettere ad un tavolo e guardarsi in faccia. Solo questo basterebbe per non iniziare alcun colloquio perché, solo il fatto di parlarsi, prevederebbe come minimo un riconoscimento reciproco.
E’ oggettivamente ridicolo e fazioso da parte del Quartetto chiedere un impegno a Israele senza però esigere l’unità dei palestinesi e un riconoscimento preventivo dello Stato Ebraico. Significa che nessuno ha veramente intenzione di risolvere la questione palestinese in maniera definitiva e che si tende a tirare avanti così come si fa da oltre 60 anni. D’altra parte una definizione del problema israelo-palestinese nuocerebbe agli interessi di parecchia gente, a tutto quel business che gira attorno agli “aiuti umanitari” ai palestinesi, a tutta quella gente (e sono migliaia) che vivono di questo eterno conflitto, a coloro che non accettano l’esistenza di Israele e, soprattutto, ai nemici di Israele che si vedrebbero defraudati di un mezzo di pressione internazionale micidiale qual’è attualmente il popolo palestinese. Per non parlare poi di tutti quelli che nascondono il proprio antisemitismo dietro la facciata dei Diritti dei palestinesi. Quanti opinionisti, quanti giornalisti, quanti scrittori, quante testate e siti internet, quante organizzazioni si ritroverebbero improvvisamente senza lavoro se dovesse scoppiare la pace in Medio Oriente?
Non è un caso che il Ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, riferendosi a quanto emerso dalla riunione del Quartetto, abbia parlato di un “cronoprogramma irrealistico per una pace che rischia di essere artificiale”, aggiungendo poi che “si sta dando ai palestinesi l’impressione che possono raggiungere i loro obiettivi continuando a rifiutare negoziati diretti sulla base di falsi pretesti”. Chiaro il riferimento a colloqui diretti dove le parti si riconoscano reciprocamente e preventivamente e dove siano ben chiari gli obbiettivi reciproci. Ma quale obbiettivo si prefiggono realmente i palestinesi? Non credo che questo sia chiaro, almeno per quanto riguarda Fatah, perché gli obbiettivi di Hamas sono ben chiari a tutti, distruggere lo Stato di Israele.
Ecco quindi che si torna a quel “terzo incomodo” (o terzi incomodi) di cui si faceva cenno prima e che impedisce di fatto qualsiasi colloquio di pace. Fino a quando la Striscia di Gaza rimarrà sotto il giogo oppressivo di Hamas e di Teheran, non potranno esserci colloqui con i palestinesi perché ci si troverebbe di fronte a una entità (Fatah) che non rappresenta, o quantomeno non ha il controllo, dell’intero territorio palestinese. Solo quando l’Autorità Nazionale Palestinese riprenderà il controllo totale di Gaza si potrà veramente stilare una scaletta che abbia un senso. Fino ad allora parlare di colloqui di pace e di uno Stato Palestinese con confini ben definiti è solo un eufemismo, è solo parlare al vento giusto per dire qualcosa. Prima di chiedere qualcosa a Gerusalemme si chiedano i giusti interventi ai palestinesi. Solo allora e non prima si potrà pretendere da Israele un impegno per la pace che, lo ricordo, deve sempre essere voluta da tutti. Non mi sembra proprio che Hamas voglia la pace.
Noemi Cabitza