E’ l’ennesimo scandalo che coinvolge l’Onu, l’ultimo di una serie infinita che nella Repubblica Democratica del Congo ha trovato terreno fertile per uomini senza scrupoli che nascondendosi dietro alla facciata delle Nazioni Unite fanno affari illeciti di ogni tipo. Questa volta però è l’Onu stesso a denunciare il marcio insito al suo interno.
E’ stato un gruppo di esperti di varie organizzazioni a svelare il turpe mercato in cui sono coinvolti uomini delle Nazioni Unite e gruppi ribelli della zona nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo. Il rapporto è stato discusso ieri (giovedi n.d.r.) addirittura dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il che la dice lunga sulla gravità della questione.
Per capire bene cosa è successo occorre fare una premessa. I minerali preziosi (diamanti e oro ai quali si aggiungono coltan, cobalto, tungsteno e rame anche se considerati per ora elementi inferiori) non possono essere acquistati se provenienti da zone di guerra. Per i diamanti esiste il Protocollo di Kimberley che vieta il commercio di diamanti insanguinati a livello globale, mentre per l’oro e per altri minerali vi sono restrizioni imposte dalle Nazioni Unite che si differenziano da paese a paese. Nel caso della Repubblica Democratica del Congo l’oro è uno di quei minerali di cui è proibito il commercio e l’esportazione se non attraverso i canali ufficiali governativi.
Premesso questo, il gruppo di esperti che ha agito sotto mandato delle Nazioni Unite, ha scoperto un enorme giro di oro e, in misura minore, di diamanti provenienti da zone di guerra e da miniere non sotto il controllo governativo, che uscivano dal Congo con documenti ufficiali delle Nazioni Unite. Dal rapporto emerge che tra il marzo 2009 e il febbraio 2010 grandi quantità di oro e diamanti sono usciti dal Congo verso paesi limitrofi (Uganda, Sud Sudan e Rwuanda) con documenti dell’Onu abilmente contraffatti o addirittura originali ma indebitamente sottratti agli uffici preposti. Da qui i materiali preziosi prendevano la via del Sudafrica dove venivano immessi nel mercato ufficiale aggirando così le restrizioni imposte dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale sui minerali provenienti da zone di guerra.
I nomi delle persone coinvolte (funzionari Onu, ufficiali della forza di pace e alti ufficiali dell’esercito congolese) sono per il momento tenuti segreti per permettere al Consiglio di Sicurezza di indagare approfonditamente su una questione gravissima. Infatti con i proventi delle vendite dei materiali preziosi diversi gruppi ribelli, tra cui si sospetta anche il Lord’s Resistence Army, avrebbero acquistato le armi che negli ultimi mesi sono servite per diverse stragi nella zona nord-est della Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan.
Lo scandalo scoppia in un momento in cui è in corso un braccio di ferro tra le Nazioni Unite e il Governo di Kinshasa che chiede alla forza Onu presente nel paese (Monuc) di lasciare la Repubblica Democratica del Congo. Maggiori dettagli e copia del rapporto i prossimi giorni, dopo che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite avrà deliberato il da farsi.
Secondo Protocollo