Da un rapporto sulla Repubblica Democratica del Congo redatto da Secondo Protocollo che uscirà nei prossimi giorni emerge che un gruppo ribelle ugandese attivo alla fine degli anni 90 si è ricostituito in Congo. Si tratta del ADF (Allied Democratic Forces), un gruppo che voleva instaurare uno Stato islamico in Uganda.
Secondo uno studio dell’intelligence ugandese redatto in collaborazione con le autorità congolesi e di cui Secondo Protocollo ha potuto vedere alcune parti, l’ADF si sarebbe ricostituito in territorio congolese a ridosso delle Rwenzori Mountains. I ribelli potrebbero contare su circa 2.000 uomini divisi in tre campi di addestramento nascosti dalla fitta boscaglia attorno al massiccio del Rwenzori.
Da quanto si apprende da fonti di intelligence ugandese i militanti del ADF potrebbero contare su un massiccio afflusso di denaro e armi proveniente da uno “Stato islamico non ancora individuato” anche se i sospetti cadono principalmente sul Sudan. Già in passato Khartoum aveva sostenuto l’ADF con armi e denaro, specialmente durante la lunga guerra con il Sud Sudan che vedeva l’Uganda schierata con il Sudan People’s Liberation Movement. L’intelligence ugandese è quasi certa che anche questa volta sia Khartoum a finanziare l’ADF anche se è altrettanto convinta che il Sudan sia solo un tramite mentre il mandante sarebbe l’Iran interessata a contrastare gli accordi israeliani in Uganda e in Sud Sudan, accordi che in parte riguardano anche le infrastrutture necessarie all’estrazione e al trasporto del petrolio scoperto recentemente nel Lago Albert (circa 2 miliardi di barili di petrolio stimati).
Proprio a tal riguardo i vertici della Tullow Oil, l’azienda inglese che detiene le concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti nel bacino del Lago Albert, hanno chiesto a Kampala rassicurazioni sulla sicurezza dell’area. Secondo quanto si apprende da funzionari governativi ugandesi, il Governo di Kampala avrebbe rassicurato la Tullow Oil in merito alla sicurezza dell’area pur non escludendo che uno degli obbiettivi strategici del rinato gruppo ribelle del ADF sino le future installazioni petrolifere.
Durante una recente visita del dittatore iraniano in Uganda, il Presidente ugandese Yoweri Museveni, avrebbe chiesto ad Ahmadinejad garanzie sul fatto che non ci fosse l’Iran dietro alla rinascita del ADF ricevendone, a quanto pare, una risposta ambigua. Ahmadinejd pretendeva dall’Uganda, che è attualmente membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, un aperto sostegno in sede ONU del programma nucleare iraniano e di votare contro nuove sanzioni all’Iran, sostegno che però Museveni non ha garantito. Da qui la risposta ambigua (o interpretabile) di Ahmadinejad sul ADF.
Secondo l’analista politico Andrew Mwenda l’aumento dell’estremismo islamico in Uganda, soprattutto nella zona al confine con il Congo, potrebbe creare un fertilissimo terreno per l’ADF dove poter reclutare giovani estremisti islamici. Negli ultimi due anni le regioni del South Buganda e del Southern (etnie Toro e Ankole) hanno visto un vero e proprio proliferare di moschee e di centri islamici, per lo più finanziati dall’Arabia Saudita. Solo di recente l’Iran si è interessata alla zona finanziando la nascita di diversi centri sciiti in contrasto con quelli sunniti e wahabiti, contrasti che hanno portato anche ad episodi di violenza. Secondo Mwenda il rischio maggiore arriverebbe proprio dalla “comunità sciita”.
L’Uganda è un territorio strategico nella zona dei Grandi Laghi e per questo è al centro di un enorme interessamento da parte di diversi Paesi islamici che, attraverso la cosiddetta “teologia del container”, stanno cercando di insinuarsi all’interno della comunità ugandese. Fino ad ora Museveni è stato piuttosto permissivo, ma con la rinascita del ADF che tanti problemi ha dato in passato al Governo di Kampala, qualcosa potrebbe cambiare.
Secondo Protocollo